Molfetta, 26/11/2020
Un docu-reality per giovani direttori d’orchestra. Con Riccardo Muti. Cinque puntate in onda a partire dall’11 dicembre. La musica lirica è la protagonista. Muti chiede «studio, ricerca e sacrificio». Per due settimane, le telecamere hanno seguito sia le prove che i momenti di pausa o di svago di questi giovani. Sullo sfondo, Ravenna.
«Il mio maestro Antonino Votto, che negli anni Venti è stato un grande direttore d’orchestra alla Scala, in un periodo straordinario non solo per la presenza di Toscanini ma anche per le proposte musicali e culturali, mi ripeteva sempre una frase del suo, di maestro: “Un vero direttore d’opera è colui che ha respirato profondamente la polvere del palcoscenico”. Un direttore non solo dev’essere un uomo di cultura, conoscere bene il libretto e la natura del dramma, ma deve informare di questo i cantanti, perchè il lavoro drammaturgico e musicale lo deve fare prima il direttore e poi il regista. Tutto questo lavoro di palcoscenico oggi è finito».
Nel presentare Riccardo Muti Academy, uno straordinario talent show prodotto dal Timvision, fortemente voluto dall’ad di Tim Luigi Gubitosi e ideato dal suo manager Luca Josi, il maestro è un fiume in piena: ne parla con passione, con trasporto, con la consapevolezza di chi si sta battendo per i giovani anche di fronte alla sordità delle istituzioni. In cinque puntate, il raffinato docu-talent racconta la selezione di quattro giovani direttori d’orchestra dell’Italian Opera Academy fondata dal maestro nel 2o15 a Ravenna. E davvero si ha la sensazione di respirare ancora quell’antica polvere di palcoscenico, di vivere un’esperienza unica e irripetibile.
«Credo molto nei giovani e a loro chiedo continuamente studio, ricerca, sacrificio. Certo, sono tappe fondamentali per il loro lavoro artistico. Mi è capitato un giorno, lavorando sulla terza sinfonia di Schubert, dove dopo l’introduzione c’è un allegro, di insistere con i ragazzi spiegando loro che dentro a quelle note c’è vitalità, leggerezza, abbandono. Ma mentre spiegavo queste cose, vedevo nei loro occhi uno smarrimento. Come se mi dicessero: “Tu chiedi sacrifici ma io riuscirò mai a realizzare la mia vita con questo strumento?”. Vedo nei giovani un fondo di disperazione e mi riesce difficile chiedere loro ottimismo nel fare musica, difficile pretendere qualcosa da persone che non sanno cosa sarà della loro vita. E una situazione che mi crea un grande imbarazzo. Studio, ricerca, sacrificio sì, ma in vista di un approdo, non di una tempesta di cui spesso i nostri politici non si rendono conto».
I talent show, gli X-Factor si rivolgono alla musica leggera. Qui ci sono ragazzi che con entusiasmo, partecipazione ed estro manifestano il loro amore per la musica lirica, per un patrimonio di cui l’Italia un tempo andava fiera e che oggi sembra aver colpevolmente abbandonato: poche orchestre, teatri abbandonati, politica assente. Per due settimane, le telecamere hanno seguito sia le prove che i momenti di pausa o di svago di questi giovani. Sullo sfondo, la città di Ravenna, la «città dei mosaici», dove ovunque si respira arte.
Ogni puntata è aperta da una bella sigla che gioca proprio sul mosaico per riproporre una ideale passaggio di testimone (di bacchetta): da Verdi a Toscanini, a Votto, a Muti. E si chiude con un punto di domanda. Un volto nuovo o un futuro incerto?
«Molti giovani – s’infervora Muti – si stanno facendo strada, è una catena che continua, che si svolge senza interruzioni. L’importante è che portino un messaggio di etica, di disciplina artistica. La direzione d’orchestra non è una guida dittatoriale, ma è una trasmissione di autorevolezza, di pensiero, di preparazione, è convincere gli orchestrali della bontà della tua idea interpretativa. In un’orchestra non esiste il concetto di democrazia, c’è una gerarchia ben precisa, ma l’interpretazione che il direttore propone deve risultare interessante, plausibile, dev’essere condivisa anche da chi all’inizio non pare d’accordo».
Il sogno dei ragazzi passa attraverso tante prove, tante palpitazioni, tanti generosi e severi suggerimenti del maestro Muti. E un rincorrersi di desideri, di aspirazioni, di confessioni ben sapendo, però, che l’X-Factor della direzione d’orchestra si chiama carisma, quella misteriosa capacità di esercitare un forte ascendente sugli altri.
«Per il giovane direttore – racconta Muti – c’è un momento decisivo ed è quando da dietro le quinte si avvia verso il podio. In quel preciso istante, in quel breve tragitto, l’orchestra si fa subito un’opinione: da come il giovane direttore cammina, da come si muove, da come manifesta i suoi sentimenti. L’orchestra si accorge subito se ha paura, se è pieno di prosopopea o se invece ha già un’aura».
Ai ragazzi Muti spiega che la musica è prima di tutto fascinazione, rapimento, non solo comprensione e, a memoria, cita Dante, cui attribuisce la più bella definizione di musica: «Così da’ lumi che lì m’apparinno/ s’accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, sana intender l’inno» (Par. XIV, 12,o)
In una celebre pagina di Massa e Potere, Elias Canetti scrive che «non c’è alcuna espressione del potere più evidente dell’attività del direttore d’orchestra». Ma il maestro non è d’accordo: il podio non è una specie di trono da cui si -impartiscono ordini, spesso con una gesticolazione esagerata (a favore di una civiltà visiva, non più auricolare), ma è un’isola di solitudine. Davanti l’orchestra e il coro, dietro il pubblico: l’idea interpretativa del direttore, deve passare attraverso la complicità degli esecutori per arrivare alla comprensione della platea: «Chi mi può aiutare in quel momento? Nessuno. Io sono solo».
Dopo aver difeso il ruolo del direttore d’orchestra dall’invasione degli attuali registi, dalle loro manie di modernizzazione («un regista meno fa, meglio e»), Riccardo Muti si congeda con un accorato appello: «Voglio morire pensando a un pubblico che ascolti la musica operistica italiana con lo stesso sacro rispetto con cui ascolta la musica di Wagner, di Strauss, di Mozart. La musica operistica italiana, invece, ha sempre questo sapore di intrattenimento, di sollazzo, di un certo loggionismo che si bea delle note acute, dei do di petto». Quattro giovani direttori sono pronti a raccoglier la bacchetta del maestro e, in particolare, i suoi insegnamenti. Solo così la loro vita professionale cambierà per sempre.
Aldo Grasso, Il Corriere della Sera, 25 novembre 2020
fonte riccardomuti.com
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