Cinema: al molfettese Giulio Mastromauro il David 2020 per il miglior corto

 

Cinema: al molfettese Giulio Mastromauro il David 2020 per il miglior corto

 

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Molfetta, 09/05/2020


Inverno di Giulio Mastromauro è una stagione dell’anima. Lascia spazio alla Primavera ma resta incisa in ognuno di noi.

Con questo film Mastromauro si aggiudica il David di Donatello 2020 come Migliore Cortometraggio.

Il progetto nasce da un’emozione privata e personale e che abbraccia l’universalità delle persone. Guardando ai bambini e agli adulti, alla capacità dei primi di assorbire tutto e dei secondi di cadere troppo spesso nella trappola della protezione.

La cerimonia dei David, andata in diretta su Rai 1, venerdì 8 maggio, con la conduzione di Carlo Conti ha dichiarato vincitore della categoria Miglior Corto Giulio Mastromauro, un orgoglio per la città di Molfetta.

Per questa edizione “particolare” non è stato previsto alcun red carpet nè ospiti in studio. La cerimonia del tutto differente, ma si ricorderà molto più delle altre, dando in questo momento un segnale forte al e dal mondo del cinema italiano. Il cinema che non si ferma e che come dice Mastromauro in questa intervista, è composto da persone che vivono un mestiere “di alti euforici e bassi patologici”.

Quanto c’è di veramente autobiografico in “Inverno”?
Ci sono tutti i ricordi di me bambino, non tanto di situazioni specifiche quanto di emozioni e di stati d’animo. Parlo di silenzi, di apprensione, di tensione. Tutte situazioni ed emozioni che nel corto si sentono, si avvertono e che sono l’elemento più autobiografico. Cercavo un luogo reale all’interno del quale raccontare queste mie emozioni e l’ho trovato nel mondo dei giostrai circensi. Un mondo fatto di gente splendida, pura. Con loro ho ritrovato quei valori che in qualche modo forse si sono un po’ persi in altri contesti sociali. La famiglia in quel luogo, la sua unità, è un valore ancora molto sentito.

È un corto malinconico?
Io sono classe 1983 e come tutta la mia generazione ho vissuto molto più gli spazi esterni e sono cresciuto con il mito dei giostrai, dei luna park. La giostra è un luogo pieno di contrasti: tanta gioia, tanta allegria ma anche tanta nostalgia, tante difficoltà che si devono affrontare. I giostrai devono anche dissipare i giudizi della gente. Lo sguardo rivolto a loro è sempre un po’ sospettoso. Spesso sono ritratti come realtà di zingari, di nomadi ma in senso dispregiativo. Io ho cercato di raccontarli al meglio in questa storia senza cadere nella vera finzione. Non volevo si percepisse come una storia finta. Ho voluto ambientare la mia storia lì perchè ho avuto modo di conoscere molte persone che appartengono a quel contesto e le trovo persone sincere, piene di umanità.

“Inverno” è il cortometraggio che ha vinto il David di Donatello 2020. Cosa vuol dire ricevere questo premio in un periodo storico così assurdo?
Io mi sento fortunato ad avere vinto un premio così importante. Sono stato anche sorpreso e felice che l’Accademia abbia scelto di premiare un corto così personale, così intimo. Anche se in molti mi hanno fatto notare che è più universale di quanto io creda. Sono quindi doppiamente contento perchè volevo raccontare una storia mia che fosse anche di altri. È questo l’unico obiettivo che ho. Quello di fare film per le persone, per il pubblico. Forse il primo complimento avuto per il corto l’ho ricevuto tra la chiusura del montaggio e il mix del suono, quando mi hanno chiesto ‘ma questa famiglia dove l’hai trovata?’. In realtà non è una famiglia, sono quattro attori di provenienze diverse, con esperienze diverse. Mi ha fatto piacere sapere che siamo stati tutti tanto bravi da fare in modo che la gente pensasse ai personaggi come a persone reali.

Chiudiamo con una nota divertente. In genere sul red carpet di un premio viene chiesto in modo scherzoso “dove metterai questa statuetta?”, tu hai già un’idea?
È una domanda difficilissima! Ha un valore talmente grande, inestimabile…. Voglio poterla guardare tutti i giorni perchè quella statuetta sarà importante soprattutto nei momenti più difficili, quelli di sconforto. Il nostro è un mestiere di alti euforici e bassi patologici, quindi sicuramente starà in bella vista in modo da ricordare a me stesso che è questa la mia strada, è questo quello che voglio fare.

fonte www.artribune.it CLICCA QUI E LEGGI l'intervista completa.

 

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