Molfetta, 17/09/2013
Un'anima più calda per le nostre città
Clima più sereno e concorde per restituire alla città il respiro, il soffio di vita.
Lo chiede Mons. Martella nell’omelia per la conclusione della festa della Madonna dei Martiri, il 15 settembre, nella cattedrale di Molfetta. Di seguito il testo integrale dell'omelia.
È trascorsa una settimana dallo sbarco festoso sulla banchina di San Domenico e
dall’ingresso emozionante del simulacro della Madonna in questa Cattedrale.
In questi giorni si è registrato un continuo via vai di gente che ha reso l’omaggio
della propria devozione e della propria preghiera. Sicuramente abbiamo
avvertito il benefico influsso della sua presenza e del suo amorevole sguardo.
Questo pomeriggio riporteremo la sacra immagine, forse con un pizzico di
nostalgia, ma con la certezza che Ella, la Madonna dei Martiri, non si allontana da noi, dal cuore di ciascuno. Tornerà alla sua “casa”, la Basilica, da dove continuerà a vegliare sulla città; veglierà sul nostro mare, sui nostri marinai e naviganti.
Prima, però, abbiamo questa bella opportunità di ringraziarla per questa visita. Lo
facciamo tutti insieme; insieme al sindaco che saluto cordialmente, alle autorità tutte, ai rappresentanti delle varie istituzioni. Tutti stretti, in un corale, sentito e spontaneo abbraccio.
Prima di noi, lo hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto. Tante generazioni di molfettesi hanno costruito la storia di questa città, avendo come riferimento costante la co-patrona, la Madonna dei Martiri, titolo che sostituì quello di “Madonna della Tenerezza”, in onore dei crociati, i quali, giungendo in questo luogo, di ritorno dalla Terra Santa, trovavano salutare ristoro.
Memori di questa storia, ed anche eredi, vogliamo continuare a vivere il presente e a costruire il futuro sempre rivolgendo lo sguardo verso la nostra Madre comune.
Lei vuole essere la nostra guida, la impareggiabile e insostituibile maestra di vita, la garanzia di un percorso nella giusta direzione, in un tempo particolarmente difficile.
Appena quindici giorni fa, il card. Bagnasco, celebrando la solennità della Madonna della Guardia, durante l’omelia, pronunciò queste testuali parole, che non possiamo non condividere: «I tempi continuano ad essere duri, anzi durissimi. Non ci si può illudere che tutto sia nuovamente a portata di mano: i proclamati segnali di ripresa – se non sono solo dei pii desideri – non danno ancora frutti sul piano dell’occupazione che è il primo, urgentissimo obiettivo.
Ogni piccolo passo è benvenuto, ma l’ora esige una concentrazione massiccia e stabile di energie, di collaborazione, di sforzi congiunti senza distrazioni, che porti a risultati evidenti per chi vive l’ansia del lavoro. Insieme si può! E si deve! La gente guarda attonita, teme che i suoi sacrifici vengano buttati via, e ogni giorno spera ancora qualche spiraglio concreto che faccia intravedere il nuovo giorno: questo deve essere visto da tutti, non annunciato da pochi. Senza lavoro non c’è futuro, così come senza una casa: e senza lavoro e casa non c’è famiglia. La società è fatta di persone ed è a servizio delle persone, ma la persona ha bisogno di nuclei più
piccoli, sicuri e permanenti, grembi di vita e palestre educative. Ha bisogno
della famiglia».
Ovviamente, il cardinale, oltre che alla sua diocesi di Genova, guarda alla realtà della nazione, da Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
E tuttavia, l’analisi che fa rispecchia pienamente il nostro territorio e la nostra città.
Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà in cui tante famiglie versano: povertà crescente, richieste di aiuti in continuo aumento. Registriamo in questi primi nove mesi di quest’anno (2013), attraverso i nostri centri di ascolto e la Casa di accoglienza, un flusso di persone, extracomunitarie e persone del luogo, per
richiesta di aiuti economici, vestiario e pasti, che fa crescere più del doppio
in percentuale la media rispetto all’anno scorso.
È solo un piccolo accenno per rendere l’idea di una situazione davvero molto seria, anche perchè le scorte non sono infinite mentre le emergenze di indigenza non sembrano diminuire.
Dicendo questo, non dimentico che nella nostra città, così come nelle altre città
della nostra diocesi, ci sono meraviglie di delicatezza, di attenzione verso i
poveri, di mani nascoste che aiutano, di cuori generosi che donano, di famiglie
che accompagnano altre famiglie in difficoltà, di gruppi, di associazioni, di
confraternite che scelgono nel fare il bene il “non clamore” e l’adagio evangelico “non sappia la sinistra quello che fa la tua destra”.
Tutto questo rappresenta quell’“ala di riserva” che, pur nella pesantezza della situazione, consente di sperare ancora.
Proprio oggi, a Torino, si conclude la 47° Settimana Sociale dei Cattolici, promossa
dalla CEI e dedicata alla famiglia “speranza e futuro della società”.
Un tema di estrema attualità ed è anche una scelta coraggiosa. Auspichiamo davvero che l’appuntamento di Torino collochi la famiglia al centro dell’attenzione della Chiesa e della nazione. «Non per difendere un interesse particolare – come si
augura Famiglia Cristiana di questa settimana - , ma per custodire un bene comune. Chiedere un paese, finalmente, a misura di famiglia non significa dimenticare i temi del lavoro, della crisi economica, dell’emigrazione, della tutela ambientale. Vuol dire, piuttosto, cambiare “occhiali”, e leggere la realtà con gli occhi della famiglia. E capire che la famiglia è la vera ricchezza del Paese».
C’è la famiglia, certo! C’è il lavoro, poi c’è la sicurezza, c’è l’ordine, c’è la sobrietà, ma c’è un altro lavoro da fare, forse più difficile e delicato. Occorre restituire un’anima più calda alla nostra città. Il lavoro delle persone che vogliono aiutare questa città è restituire l’anima, è restituire il soffio di vita, il respiro. Francamente le contrapposizioni, gli scontri, i litigi, i sospetti, non aiutano.
Come fare, allora, per restituire il respiro alla città? So che le ricette si sprecano, come quelle propinate dalla televisione o dai rotocalchi per dimagrire, spesso senza apprezzabili risultati. A me ha sempre colpito il titolo, apparentemente paradossale, di un libro di alcuni anni fa, scritto da un saggio. Il titolo è: Monaci nella città.
Spiega, questo libro, che monaco non vuol dire isolato; monachòs (greco) vuol dire unificato, significa che la mente, il corpo e l’anima sono uniti, vuol dire che io, tu, ciascuno di noi diventiamo segni di unificazione.
In fondo è quanto ci insegna la Parola di Dio oggi. C’è la prima lettura che presenta un popolo tutt’altro che unificato; è invece “pervertito”, “dalla dura cervice”, “separato” da Dio, votato ormai alla rovina. Ma, alla fine, cos’è che salva
questo popolo? Interviene la preghiera di Mosè, che non è solo la preghiera del
laeder, bensì la preghiera del popolo espressa dal laeder. E allora, “il
Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo” (Cf Es 32, 7ss).
Così, nel Vangelo di oggi, cosa non deve sfuggire nella parabola del figlio prodigo
(o del Padre misericordioso)? Non può sfuggire la “separazione”: il figlio
minore si separa dal padre, ma anche il figlio maggiore si “separa” dal padre
oltre che dal fratello. Solo la conversione del figlio e soprattutto la misericordia
del Padre, quel cuore aperto che dimentica l’offesa, riportano l’unificazione e
la pace.
Cari Amici, questa festa della Madonna dei Martiri, si celebra nel tempo in cui si
avvia il nuovo anno pastorale. Fra qualche giorno si svolgerà, qui a Molfetta,
il Convegno diocesano. Quest’anno saremo impegnati ancora sul tema dell’educazione attraverso la liturgia che apre alla speranza, la virtù bambina.
Stiamo ancora vivendo l’Anno della fede e nei mesi passati abbiamo avuto tante occasioni per approfondire la nostra fede, ne avremo ancora altre di occasioni fino al giorno della chiusura, il 25 novembre prossimo, solennità di Cristo Re dell’universo.
Spesso ci troviamo a parlare ed anche ad operare nel segno della carità, ma è
urgente imparare e approfondire il linguaggio della speranza, proprio perchè
avvertiamo la grande difficoltà di immaginare la vita in prospettiva di quello
che ci aspetta, in prospettiva dell’“Oltre” e dell’“Altro”.
Per noi cristiani specialmente, è una dimensione che non possiamo trascurare. Naturalmente, la speranza che dobbiamo cercare, come afferma san Paolo, è una «speranza che non delude» (Rm 5, 5), o come dice Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi, una «speranza affidabile» (nn. 1 e 2). Papa Francesco, da parte sua, con linguaggio efficace ed immediato, ritornando spesso su questo argomento, dice che la speranza vera è Gesù Cristo. La speranza «è un dono, è un regalo dello Spirito
Santo – sono parole del Papa - , ma essa ha anche un nome, e questo nome è Gesù»
(Messa del Papa a Santa Marta, Omelia in L’Oss. Rom. 9-10 settembre 2013).
Con animo confidente, allora, ci rivolgiamo ancora alla nostra cara Madonna. Andare da Lei è andare a scuola di cristianesimo, è entrare nel cuore di Dio e
imparare la lingua dell’umano contro ogni forma di disumanità. Andare da Maria
significa essere aiutati ad abitare la terra come ha fatto Lei, benedicendo e
magnificando il Signore per ogni cosa. Ci aiuta a stare come Lei accanto alle
infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, per
portarvi conforto e condivisione. In Maria, ciascuno riscopre l’alfabeto della
vita. In Lei siamo resi piedi pronti a correre incontro all’altro, mano aperta
al dono della pace.
Oggi ricorre la festa della Madonna Addolorata, un titolo che richiama da vicino
quello di Madonna dei Martiri. Affidiamo ancora una volta al suo cuore di
Madre, la vita di ogni persona, dei nostri giovani, dei nostri bambini, dei
nostri anziani, dei sofferenti, dei lontani, dei concittadini nel mondo. E non
ci stanchiamo mai di chiederLe, fiduciosi, prosperità, serenità e pace per la
nostra cara, amata città di Molfetta.
Molfetta, 15 settembre 2013
+ Luigi Martella
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