Molfetta, 13/08/2022
La zona prende nome dalla presenza di una chiesa dedicata all’apostolo San Giacomo maggiore (1139). Passata alle dipendenze del monastero di Monte Sacro (prima del 1143) aveva assunto il nuovo nome di chiesa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo. Trent’anni dopo (aprile 1173), Roberto II di Basunvilla, conte di Loretello e di Conversano, nonchè Signore di Molfetta, dispose la costruzione a proprie spese di una «ecclesiam ad honorem B(eati) Jacobi … cum hospitali».
Grazie ad una ricerca dello storico molfettese Corrado Pisani, oggi noi dell'Associazione Oll Muvi, affermati nel mondo come I Love Molfetta, condividiamo delle notizie davvero interessanti su una zona di Molfetta tutta in fase di espansione
Oggi di questo comprensorio resta solo una struttura identificata (sin dal 1874) con il nome di Torre S. Giacomo. Il fabbricato si trova, percorrendo la S.S. 16 da Molfetta a Bisceglie, a circa 1200 metri dalla Basilica della Madonna dei Martiri ed a poco più di 400 metri dall’omonima cala.
Essendo le vicende della chiesa ben note, qui riporteremo alcune note riguardanti la cala di San Giacomo.
A settentrione della chiesa di S. Giacomo, ed a non molta distanza dalla stessa, già nel 1171 era presente la strada che, snodandosi lungo la costa, conduceva da Bisceglie a Molfetta. Nel 1263 numerosi terreni ricadevano ormai nella contrada chiamata “de sancto Iacobo (o Jacobo)”.
Nel Catasto di Molfetta del 1561, per individuare la posizione di tre distinti fondi rural, situati tutti nella zona a levante della chiesa, fu utilizzata per la prima volta la denominazione «lo porto de santo Jacobo». Il sostantivo “porto” si ritrova ancora in carte risalenti agli anni che vanno dal 1626 al 1643.
Nel 1636 furono posate due colonne per permettere l’ormeggio a eventuali velieri che sostavano in quella zona. La presenza di queste due colonne darà poi origine ad un altro nome di questa stessa insenatura (Cala Colonnette) e che sarà utilizzata nel 1892 dall’allora Capitano di Porto, Enrico Biagini, nella sua descrizione della costa marittima di Molfetta. Con il passare dei secoli, il fenomeno dell’erosione marina modificò l’iniziale conformazione di questo sorgitore tanto che nel 1734 la zona era chiamata «la cala di S. Giacomo seu lo Salso» cui seguì vent’anni dopo (1755) «la cala di S. Giacomo seu il Salso».
Il 6 ottobre 1760 una marticata (martingana, ossia un veliero di commercio con un albero) di Procida, chiamata «La Madonna della Pietà e l’Anime del Purgatorio», fu colta nelle acque tra Bisceglie e Molfetta da un fortunale che provocò la rottura del carrozzolo (chiglia). Il veliero, oltre a imbarcare acqua, subì la rottura dell’albero maestro. L’equipaggio riuscì a raggiungere la cala e portò l’unità ad arenarsi sulla costa. Il successivo 17 ottobre, padron Filippo Scuotti di Procida, proprietario di detto veliero, vendette il relitto per 8 ducati a mastro Giulio Binetti.
Proseguendo lungo il lido del mare, verso levante, si incontra uno “scanno” (banco di rocce o scogli) chiamato “la chianca di S. Giacomo”. Nel periodo luglio-novembre 1784 qui era presente un “posto” di sorveglianza (baracca di legno) facente parte del cordone sanitario (ordinato nel mese di novembre 1783) organizzato da Barletta sino al Capo di Otranto. In questo stesso periodo le strade che portavano a Torre Calderina erano “impratticabili”. Il 29 ottobre 1786, sopra questa “chianca”, naufragò una brazzèra (barca a vela con due alberi) di Ragusa (Dubrovnik) con tre marinai. Digiuni da quattro giorni, l’Università di Molfetta li ospitò per tre giorni fornendo loro diversi viveri (pane, carne d’agnello, formaggio, vino, cipolle, sale e peparoli), sostenendo una spesa di 2 ducati, 35 grana e 1 cavallo.
Proseguendo a levante, sempre percorrendo la costa, si incontra la località chiamata (già nel 1269 e sino al 1733) “S. Cosma”. Questa zona, bagnata dal mare e prossima alla strada per Bisceglie, nel 1781 toccava una “cocevolina ortolizia” di 30 ordini chiamata “la fabrichetta” situata a non molta distanza dal retro del Santuario della Madonna dei Martiri. Il nome, che poi si è esteso ai terreni limitrofi, ha dato origine all’odierna contrada “fabbrichette”. Un atto notarile spiega che grazie a questa costruzione «detta cocevola veniva riparata dal mare, e con detta fabbrichetta furono riparati i seminati». Questo dimostra come all’origine del toponimo nulla c’entrano le poste di caccia presenti, realizzate in epoca successiva.
Nel giugno del 1784 l’Università si preoccupò di rifare il fondo del passo della cala perchè l’acqua (di mare) ristagnando, oltre a causare l’insorgere di fango, emanava un tremendo fetore. Per colmare le buche presenti a cala san Giacomo, sia dalla parte di mare che di terra, furono collocati grossi massi di pietre lavorati da mastro Mauro Lonardo de Ceo. Il trasporto dei massi avvenne in tre giorni, utilizzando tre barchette e venti uomini.
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