Molfetta, 09/08/2022
L’Agenzia del Demanio, nel 2007, al termine del primo censimento organico degli immobili affidati alle sue cure, inserì Torre Calderina tra i circa duemila monumenti italiani che appartengono al cosiddetto demanio storico-artistico.
Qui di seguito condividiamo una "ricerca" effettuata dallo storico molfettese Corrado Pisani, che a noi dell'Associazione Oll Muvi ha dato la possibilità di condividere sul nostro sito web I Love Molfetta.
Molfetta ha la fortuna di possedere all’interno del suo territorio comunale questo immobile che, a differenza di tutti gli altri sparsi nel suo entroterra, è l’unico che si può definire “torre di sorveglianza marittima”.
La sua presenza risiede nel fatto che il vicerè di Napoli, don Perafan de Ribera (1509-1571), duca d’Alcalà, nel 1563 emanò un editto per la costruzione di torri marittime in tutte le coste del regno «…acciò che il Regno fosse sicuro dai corsari».
Nell’agosto del 1569, tra le Provincie d’Abruzzo, di Capitanata, di Terra di Bari, e d’Otranto, erano già edificate 114 torri. Per ordine datato 10 settembre 1569 il Duca d’Alcalà impartì disposizioni alla Regia Camera affinchè anche le torri finite di costruire nell’estate di quell’anno fossero dotate «di alcuni pezzi d’artiglieria de mitallo». L’ordine di armamento elenca tutte le torri interessate con i pezzi che avrebbero dovuto ricevere in dotazione come loro primo armamento. Tra quelle in Provincia di Bari, è presente anche la nostra torre, allora chiamata Torre Porto S. Iacomo, che doveva ricevere un cannone (falconetto) da 3 libbre, con una gittata massima di 2.800 metri.
Il sito per la sua edificazione fu individuato solo dopo aver ben definito i limiti territoriali tra le Università (Comuni) di Bisceglie e Molfetta, operazione che ebbe termine alla metà del mese di ottobre del 1563 con l’apposizione di 50 “fitte” di pietra sul confine tra i due Comuni, da contrada di Lama dell’Aglio sino al lido del mare.
Il 29 dicembre 1570(69) il notaio Baldassare de Judice e magistro Jacobus de magistro Leonis alias delo Garignone di Spinazzola, per atto rogato da notar Nicola Angelo Germano, dichiararono di possedere in deposito 36 ducati che facevano parte del fondo utilizzato per la costruzione della «torre dicta Galdarina seu la ponta della torra».
Il rinvio toponomastico individuava il posto dove si trovava la costruzione ovvero un pezzo di terreno parietato, «in loco peciarum de mare (pezza di mare) que dicitur la peza de la torra», prossimo al lido del mare, già appartenuto (nel periodo 1519-23) al nobile Antonello Azzarito. Il nome della località indica che in zona doveva essere già presente una struttura (fabrica) rurale. Nel 1561 la stessa proprietà era di “messer Antonio Frisario” di Bisceglie. Nel medesimo anno, in quella zona, Marinello Frisario era proprietario di un possedimento rurale (dell’estensione di 59 vigne) formato da più terreni «jn loco qui dicitu(r) la calcara delo Jmpiso juxta litus maris jux(ta) viam vicinalem jux(ta) viam pup(li)cam». Possedimento, quest’ultimo, già appartenuto a tale Lops (o Lopes) Hyspano, identificato nella persona di domino Laurencio Lopes, marito di Affidota Lupis, figlia dei coniugi Nicolao Tucio de Lupis e Franceschella Azzarito (sorella del già citato Antonello Azzarito).
Il signor Lopes ebbe sicuramente una parte importante nelle vicende molfettesi correlate al “Sacco” della Città. Egli, infatti, fu uno dei quattro uomini (gli altri tre sono Diomede Lepore, Pietro di Sulmona e tale Cuscino di Trani) escluso da un (secondo) indulto, datato 4 agosto 1531, concesso dal Principe di Molfetta, dopo aver ascoltato il parere dell’Università. Tale realtà genera il sospetto che questi signori dovettero essere dei traditori e, quindi, esiliati e spogliati di tutti i loro beni (che poi furono ceduti ad altri). Nel 1735 la stessa zona aveva preso già il nome di Macchia Spagnola. A questo nome è collegato il toponimo “la calcara delo Jmpiso” (ossia dell’impiccato) dove si sottintende, forse, che il Lopes fu giustiziato mediante impiccagione. Ipotesi che si fa più concreta considerato che nel 1535 sua moglie (Affidota Lupis) era identificata con l’aggettivo “relicta” ossia vedova.
Il nome di Torre Calderina, contrariamente a quanto viene sempre riferito (legato al nome dell’architetto Calderini che la edificò e di cui nelle carte molfettesi non c’è traccia) e come ebbi modo di esporre in una serie di articoli del 2017, trae origine dalla presenza in quella zona dell’uccello chiamato calderino (poi cardellino).
La struttura fu utilizzata come torre di sorveglianza marittima sino alla metà del XIX secolo. Con Regio Decreto 30 dicembre 1866, n° 3467, fu smilitarizzata. Durante la Prima Guerra Mondiale fu adibita come semaforo per conto della Regia Marina. Il 15 settembre 1941 la torre fu consegnata al Ministero della Guerra. Il 10 dicembre 1955 fu consegnata al Demanio Pubblico.
Nel 1977 era tenuta in fitto dal barone Filippo Manfredi de Blasii che, avendo avuto cura di far eseguire diversi restauri interni, ne ha consentito la sopravvivenza sino ai giorni nostri.
Stay tuned
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