Le dodici canzoni piu' belle di Caparezza (aspettando Prisoner709)

 

Le dodici canzoni piu'  belle di Caparezza (aspettando Prisoner709)

 

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Molfetta, 11/08/2017


Il ritorno sulle scene dell'artista pugliese, di Molfetta, Caparezza a tre anni dal favoloso concept museale "Museica", a settembre con Prisoner 709

Per commentare il nuovo album dovremmo aspettare il lontanissimo (ammettiamolo, manca ancora un bel po’) 15 settembre; per ingannare l’attesa Simone Tribuzio ha pensato bene di stilare una sudatissima Top 12 delle sue canzoni: dal periodo che va da ?!, fino al penultimo lavoro Museica.

Cosa ci riserverà questa volta Michele Salvemini, che a ben vedere si concentrerà sulla psicologia criminale e non solo?

Non ci è dato ancora saperlo, ma la tracklist fa ben sperare. Al missaggio troviamo sempre il nome losangelino di Chris Lorde-Aldge.

"Si spera possiate scoprire, e magari riscoprire, una voce fuori dal coro della canzone d’autore italiana, perchè spesso osteggiato e incompreso.
Buon viaggio." Simone



12. Abiura di me
Non una mera e semplice operazione nostalgia per i videogamers: trattasi invece di un notevole moto di affermazione. Di fatto l’artsta pugliese afferma – in un contesto squisitamente videoludico – di continuare a cantare ciò che scrive e passare di livello (ossia con la voglia di migliorarsi quotidianamente), anche al costo di abiurare. Un atto che ha avuto come massimo esempio storico Galileo Galilei; citato più tardi nella canzone electro-rock Il dito medio di Galileo.

11. Felici ma trimoni
Si è veramente sicuri (a volte) che nella vita bisogna amarsi “nella buona e nella cattiva sorte”?
Sarà il compagno di vita giusto? Sarà giunto veramente il momento del “per sempre?”
Altro piatto forte di Habemus Capa è questa traccia che si fa beffe degli sposi stupidi (trimoni in pugliese, ndr). Felici ma stupidi, per l’appunto.

Contenti di unirsi nel sacro e inviolabile vincolo del matrimonio, nel giorno più bello per una coppia, fa irruzione improvvisamente Caparezza; esponendo agli sposi e ai presenti in chiesa della disgrazia e dell’ipocrisia che stanno per abbattersi sullo sposo e sulla sposa.

Un commento feroce e pungente sui matrimoni di comodo.
Un rifugio per il sottoscritto, sempre con il walkman nella mano nel lontano 2006.

10. Jodellavitanonhocapitouncazzo
La morte di un artista. I primi sintomi? Be’, la mole di dischi venduti nelle ventiquattro ore dal decesso. Radio e telegiornali ne parlano senza sosta alcuna, narrandone incessantemente vita morte e miracoli.

Uno Jodel (citato nel titolo) in cui si assiste alla morte, questa ipotetica e immagignifica, di Caparezza. Tutti partecipano sentitamente al corteo funebre, ma lui aveva gettato tutte le basi artistiche per poi ribadire il suo essere musicista e uomo.

Il beat è quanto più di vicino sia al rap alternativo. A dieci e passa anni dalla pubblicazione si fa apprezzare per lo sforzo di immaginazione e per l’immortalità che riuscirà a conservare – sicuramente – ancora per molti anni.

L’artista avrà la sua resurrezione nell’altrettanto stupenda Annunciatemi al pubblico, traccia che apre l’ostico ma grande seguito Habemus Capa.


9. È tardi
Qui Caparezza si fa carico di un altro tema importantissimo in compagnia di Michael Franti: l’inesorabilità del tempo che scorre.

Nonostante l’inarrestabilità Caparezza suggerisce di continuare le nostre passioni, i nostri progetti anche in età adulta, tracciando la nostra vita seppur in ritardo.

Un’altra disamina dalle sonorità funky/hip-hop tipiche dell’avanguardia che ha portato avanti lo stesso Michael Franti sin dagli esordi.

Dopo il duetto con Tony Hadley nell’album precedente sforna un duetto di tutto rispetto per la sua bellezza e per la tematica.



8. China Town
La ballad di Caparezza. Chi l’avrebbe mai detto?

Si erge con una sentita dichiarazione d’amore alla china, all’inchiostro che grazie al quale ha dato vita al suo pensiero; al suo immaginario e al suo essere, innanzitutto. Si fa avanti come portavoce degli scrittori. Di coloro che per professione giocano e utilizzano parole per trasmettere tutta la loro arte e poetica.

Dall’inizio che attacca con una tastiera magica e struggente, sul finale gli archi pensano a struggere l’ascoltatore; qui ci si lascia ammaliare dalla potenza delle parole e dell’amore che Caparezza nutre per queste.
Emozionante perchè per un aspirante scrittore è ossigeno puro.
Un brano salvifico, necessario per l’immaginazione salvifica.

7. Il dito medio di Galileo
Galileo Galilei, costretto ad abiurare davanti alla Santa Inquisizione, rinunciò alle teorie astronomiche (di Nicolò Copernico) di cui prima era un fervido sostenitore.

“Qualche anno dopo” Michele Salvemini fa visita al Museo della Scienza di Firenze, dove vi è conservato un singolare ma affascinante reperto: un dito medio di Galileo Galilei.
Da qui il cantautore di Molfetta ha gettato l’impianto narrativo per burlarsi di chi tacciò la voce dello scienziato fiorentino. Questi servendosi proprio del dito in senso lato.
La base è principalmente retta su dei campionamenti electro, sviluppata poi su accordi e melodie rock.

6. Argenti vive

Al primo ascolto sono stato travolto da questo dissing medioevale che inquieta tantissimo.
E ancora oggi provo gli stessi effetti.
Caparezza veste i panni del dannato Filippo Argenti per vendicarsi di Dante Alighieri che lo aveva condannato nel girone infernale dei dannati.

Il poeta fiorentino si era scatenato nel canto VIII, poichè schiaffeggiato precedentemente dallo stesso nobile, protagonista di questo brano.

Qui la scrittura di Caparezza è evocativa ai massimi livelli, da far rizzare i peli sulla nuca: la metrica del dissing lanciato da Argenti è costruita perfettamente; segue una base hardcore con la chitarra di Ferrero che terrorizza e offre spettacolo per la sua tecnica, la tastiera edifica una atmosfera cupa e infernale rendendo il tutto più terrificante.

Un monito di un prepotente per dire che nel futuro le giovani menti saranno come l’Argenti e l’arte porterà il suo nome.

Da qui (se non già dalla canzone precedente) Museica continuerà a viaggiare su un binario differente, lasciamo il binario dell’arte (in parte) per viaggiare su quello della violenza.

5. Il secondo secondo me

Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista.
Tranne che per Caparezza, ad esempio.

Verità supposte viene sbandierato ancora oggi come il manifesto del Capa pensiero; perchè contenitore hit di successo: a partire dalla fraintesa Fuori dal tunnel fino a tracce più peculiari per mood, quali Dualismi e Stango e sbronzo.

Dalla prima strofa smonta come costruzioni diversi clichè e modi di dire dal sapore passatista (il tanto sospirato “quando c’era lui” delle camicie nere che portarono alla guerra il Bel Paese), passando poi per allarmismi legati al consumo di videogiochi e musica additati come violenti per non dire presunti tali.

La prima traccia getta tutte le premesse su quello che sarà il suo album più noto.
Agli stolti fermi delle proprie convinzioni sarà sempre riservato un bel dito medio.

4. Goodbye Malinconia
Una constatazione, una denuncia nei confronti di un paese che da tempo vede le proprie eccellenze emigrare verso lidi più rosei.

A duettare con Caparezza è il carismatico Tony Hadley, fondatore e vocalist della band Spandau Ballet. Negli anni ’80 dei punti di riferimento della scena new romantic con i celeberrimi Duran Duran. Una voce che fa vibrare l’animo dell’ascoltatore, già provato dalla critica che ne fa l’artista pugliese. Il synth pop incalzante e frenetico riprende in buona parte lo schema tipico proprio del new romantic.

Un finale in che arpiona il cuore di chi ascolta.
Il paese di Malinconia è ormai scolpito nell’immaginario di tutti, fan e non.

3. La fitta sassaiola dell’ingiuria
“Egli fu Mikimix, cantante insignificante, dal cui autodisgusto nacque il se stesso odierno.”

Trattasi di un brano già dalla forte tematica autobiografica, un quadro sullo stato di salute di Michele Salvemini durante il periodo in cui calcava il palcoscenico sanremese come Mikimix.

Il titolo richiama una gogna, quella che vede proprio Caparezza essere preso di mira costantemente dai primi haters. Ma la sua è anche una presa di posizione: conscio che non può e non potrà mai piacere a tutti.

Un ospite d’eccezione: Angelo Branduardi, già dalla sua convocazione emerge la passione e l’amore per la musica d’autore. Branduardi ha autorizzato l’artista pugliese a usare la campionatura di Confessioni di un malandrino, ispirata a una poesia di Esenin.

Vi fa sfoggio dalla prima strofa di un calembour che sarà il marchio di fabbrica del cantautore proveniente da Molfetta; perchè versi come: Fonda la tua gloria sull’ingiuria / lavati i denti col seltz come Furia / smile, siamo in aria, canta vittoria/ma io ti sputerò come un seme d’anguria è stato quel grande via che rappresenta per i fan e per gli appassionati del buon flow.
Un’ottima risposta a chi getta fuoco che di colpo però diventa la sua benzina.

2. Dalla parte del toro
“Io sono come un bullone. Ecco, io sono una vite.”
La classe operaia va in paradiso
Elio Petri, 1973


Caparezza ha definito Habemus Capa come il suo album più politico. Non si sbagliava affatto.
Ancora oggi risplende per quel lato controverso e ostico, un registro tutt’altro che facile rispetto al successo avuto con Verità supposte.
Dalla parte del toro non fa eccezioni.

Un racconto sull’oppressore (il matador) che titaneggia sugli oppressi (toro): una metafora che pesa perchè denuncia il padrone che abusa della sua posizione sulla condizione degli operai.
Rime serratissime che accompagnano un beat diviso tra campionamenti e sonorità più rock.

1. Io vengo dalla luna
Giorni, se non settimane, sono serviti a spulciare tra la vasta produzione del cantautore, anzi, “rappista” come ama definirsi su Twitter. Dopo notti insonni è emersa fuori la preferita, la più bella di tutte, la canzone che più di ogni altra mi fa sentire vincolato spiritualmente al suo essere, al suo immaginario: ed è Io vengo dalla luna.
Un grido dal basso che contesta la rabbia xenofoba affermando il suo stare al mondo, la sua insaziabile voglia di scoprirne altri. L’unica colpa? Quella di essere diverso.

Una furia space-rock che viene eseguita ancora oggi negli spettacoli live.
Oggi più che mai ne abbiamo un grande bisogno per ricordarci che tutti noi proveniamo da qualche parte, ma molti dovranno emigrare verso la sperata terra promessa.
Mark Twain non si domandava a quale razza appartenesse l’uomo, piuttosto cosa potesse mai esserci di peggio dell’essere umano. Se non l’essere umano stesso, aggiungerebbe il sottoscritto.


fonte: insynthesy

 

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