Lo stemma civico di Molfetta: 550 anni

 

Lo stemma civico di Molfetta: 550 anni

 

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Molfetta, 02/01/2025




Il giorno di san Nicola, l’amico Saverio Cortellino, noto studioso e ricercatore di Trani, mi ha fatto dono di un bellissimo regalo. Ha inoltrato alla mia attenzione una e-mail nella quale scriveva semplicemente la frase “vedi se ti interessa”, allegandovi un disegno a colori dello stemma della nostra Città, ritrovato tempo addietro nel grande Archivio di Stato di Napoli. Sono rimasto trasecolato. Oggi, dopo averlo ringraziato (spero in maniera adeguata), a mia volta mi accingo a girare l’immagine a tutti coloro che amano la storia della nostra Città. Seppur oggetto di un saggio del 1992 scritto dal compianto prof. Pasquale Minervini, mi è parso giusto riportare la storia del nostro stemma (la cui esistenza è documentata da ben 550 anni) con l’aggiunta di notizie inedite.

Condividiamo ancora una preziosa ricerca del nostro amico Corrado Pisani, appassionato della storia molfettese, noi dell'Associazione Oll Muvi, noti con il brand "I Love Molfetta", attraverso il nostro sito web ilovemolfetta.it, ospitiamo e condividiamo con piacere il prezioso lavoro di Corrado Pisani, affinchè non si perda la memoria. A tutti Voi buona lettura.

La citazione più antica dell’arme cittadina (Statuto del 17 febbraio 1474) è riportata nel Libro Rosso dell’Università. Nel Capitolo che tratta le norme riguardanti i trentasei rappresentanti dei nobili e dei popolari, componenti dell’allora Consiglio Comunale (chiamato allora Decurionale), al comma «De farise duj bussuli et XXXVJ ballocte» che dispone la realizzazione degli strumenti necessari per le operazioni di voto si legge «Item e ordinato che li sei priurj ordinati ad expense dela Unjversita faczano fare duj bussulj de lingnio uno bianco et laltro russo con ballocte trentasey cum le arme dela Maesta del Signore Re / et dela dicta Unjversita cum li quali se habia da fare la balloctatione jn consiglio…» (carta 220r. dell’esemplare originale del “Libro Rosso” ossia quello conservato in Archivio Diocesano).

La prima rappresentazione dello stemma risale all’anno 1482, ed è riportata in un disegno realizzato tre secoli dopo (esattamente nel 1769) da Anselmo Porta, fratello del pittore Felice Porta, allegato ad un atto notarile rogato da notar Ignazio Mastropasqua il 29 aprile dello stesso 1769.

Solo dopo il terremoto dell’11 maggio 1560, l’Università fece aggiungere al disopra dell’arme cittadina l’immagine della Regina dei Martiri, che sovrasta la corona. Ciò è dimostrato sempre dal citato Libro Rosso, infatti alla carta 276r. (dove è riportato un diploma di Carlo V del 10 maggio 1520) è visibile un disegno con inchiostro nero dello stemma sul quale non c’è l’immagine mariana.

Il 31 marzo 1722 per atto rogato da notar Giovanni Sergio Massari, l’Università (Sindaci: Giuseppe de Luca e Giacomo Radivano), dietro compenso di 270 ducati, concordò con il maestro muratore Marco Matera di Andria la ricostruzione dell’antico “Seggio” secondo il disegno «fatto da Vito Valentino Ingegniere». Al termine del lavoro sulla facciata del fabbricato fu collocato un cartiglio in pietra sovrastato dallo stemma cittadino su cui poggia una testa di cherubino angelo coronato all’antica con corona di 7 punte, di cui solo 5 ben visibili. Su tutto c’è l’immagine della Vergine Maria che mostra il Bambino Gesù. Il palazzo, oggi riconoscibile da una improvvida targa che lo indico come “Seggio dei Nobili”, è posto ai civici numeri 10 e 12 di via Piazza.

Leggermente diverso è lo stemma intagliato sopra il dorsale della “quarta sedia dell’Università” (chiamata così per essere una delle quattro sedie a bracciuoli dorate e damascate di proprietà dell’Università) conservata nella chiesa di San Domenico (la cui esistenza fu segnalata nel 1992). In esso non compare più il volto del cherubino, l’immagine della Vergine con il Bambino è collocata direttamente sopra lo stemma cittadino e subito sotto la corona. Sullo stemma sono incise le lettere SPQM.

Un mandato di pagamento (di 56 ducati, grana 41, cavalli 6), datato 4 agosto 1798, certifica che il mastro intagliatore Antonio Martire, realizzò la “quarta sedia” dell’Università. Se questa (sedia) dovesse coincidere con quella allocata nel presbiterio di San Domenico, l’epoca in cui le lettere SPQM furono aggiunte sulla banda dello stemma deve arretrare. Al momento, infatti, risulta che la decisione di aggiungere le lettere sulla banda dello stemma maturò durante l’amministrazione comunale (1810-11) del Sindaco Felice Fiore (n. 24 marzo 1780 - m. 26 novembre 1811).

Per legge 26 luglio 1868, n. 4520, furono sottoposte a tassa le concessioni degli stemmi nuovi ed i riconoscimenti degli stemmi irregolarmente portati. Per Regio Decreto del 10 ottobre 1869, n. 5318, fu istituito presso il Ministero dell’Interno una Consulta Araldica per dar parere al Governo in materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onorificenze. Dopo l’unità d’Italia (1870) parecchi comuni e alcune province incominciarono ad usare stemmi che non risultavano nè da un uso antico e nè da concessioni governative, eludendo così il pagamento del tributo dovuto. Il Ministero dell’Interno per Circolare del 31 luglio 1870, n. 7899, diretta ai Prefetti, nel censurare questi comportamenti, dispose norme più stringenti che videro il coinvolgimento della Consulta Araldica. A tal proposito, l’esecuzione del pagamento delle tasse dovute sopra i decreti di concessioni nobiliari e simili fu attribuita alla cancelleria della Consulta.
Forse, fu proprio a causa di questi comportamenti che discende l’esecuzione del disegno oggetto di questo articolo.

Il 4 marzo 1873, per lettera prot. n° 278, in risposta ad una richiesta pervenuta con missiva del passato 10 dicembre 1872 n° 4183, il Sindaco di Molfetta (Sergio Panunzio), oltre ad allegare il disegno, riferì al Sindaco di Bari quanto segue: «Rimetto a V.S. lo stemma di questo Comune richiestami … per quale non posso darle le indicazioni araldiche dello scudo e mi limito solo a dirle che i colori del campo sono gli stessi che si vedono in esso stemma».

La conflittualità tra i diversi rappresentanti politici che componevano il Consiglio Comunale portò a variazioni nello stemma. Il campo dello scudo mutò colore a seconda delle ideologie del governo cittadino. Abbiamo contezza che alla data del 1° gennaio 1875, lo stemma era «formato da una fascia rossa in campo azzurro» con le quattro lettere iniziali S.P.Q.M.. Otto anni dopo, alla data del 1° gennaio 1883, lo stemma era stato modificato in uno «scudo in campo bianco e fascia rossa sulla quale sonvi le lettere S.P.Q.M. (senatus populusque Melfictensium) che ricorda gli antichi privilegi della città demaniale». Quest’ultima blasonatura, grazie all’utilizzazione dell’aggettivo “vermìglio” (di colore rosso vivo) come sostantivo maschile, fu quella mantenuta.

Nell’aprile 1893, il marchese Gaetano de Luca (n. 9 febbraio 1861 - m. 7 maggio 1916), in una corrispondenza da Molfetta inviata al periodico “Arte e Storia” raccontò che il Sindaco (Dott. Michele Carabellese) gli aveva mostrato «le dodici sciarpe, che insignivano i passati decurioni, da lui rinvenute nella Casa Comunale assieme ad alcune stoviglie. Queste sciarpe sono uguali, larghe, di seta bianca e per tracollo, avendo sul petto l’arme della città ricamata a colori. Lo scudo è a forma di cuore, il campo è vermiglio e la fascia sovrastante colle righe S.P.Q.M. è bianca, e non d’argento, attraversando da l’alto di destra in basso, I ferri e la corona sono d’oro, questa ancorchè feudale non mostra titolo e nel capo sorge la protettrice della città la Vergine dei Crociati e dei Martiri». Lo stesso storiografo, inoltre, aggiunse che in quel momento però il municipio continuava a non raccapezzarsi dato che tingeva bianco il rosso e rosso il bianco e che solo ultimamente il campo rosso era stato mantenuto.

Il 24 novembre 1928, per delibera n° 1177 del Podestà di Molfetta (Contrammiraglio Stefano de Dato, in carica dal 20 febbraio 1927 al 15 novembre 1929), fu richiesta al Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Consulta Araldica, il riconoscimento a tutti gli effetti di legge dello stemma del Comune di Molfetta (n.d.a. l’attuale). La delibera attesta che «lo stemma così modificato (riferito a quello fregiato con l’immagine della Vergine dei Martiri) se ne ha un ricordo da un timbro di ferro del XVI secolo, conservato nel Museo Civico, portante la dicitura CIVITATIS MELPHICTI».

Riguardo il sigillo dell’Insegne dell’Università sappiamo che fu rifatto (per carlini 15) in Napoli nel 1626 dal Sindico Giovanni Donato Passari che si trovava in quella città per suoi affari, perchè quello in possesso dell’Università non imprimeva bene. L’esistenza ed utilizzazione “suggello” risulta in documenti dell’esercizio finanziario 1766-67. La delibera podestarile concludeva precisando che «Lo stemma di Molfetta, dunque, quale risulta dalla tradizione e dai documenti storici è formato da uno scudo romano con i bordi accartocciati con la fascia rossa trasversale in campo bianco e la leggenda S.P.Q.M. e la corona a cinque punte. Ritenuto che alla Consulta Araldica non figura tale stemma e che pertanto è necessario ed utile richiedere il riconoscimento».

La richiesta, in realtà, fu un atto dovuto per ottemperare al Regio decreto-legge 20 marzo 1924, n. 442, con il quale venne disciplinato l’uso di titoli ed attributi nobiliari. Avviata la richiesta d’iscrizione nei registri della Regia Consulta araldica, seppur la legge aveva stabilito che l’ufficio della Consulta doveva provvedere all’iscrizione entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza, dovettero passare più di sei anni per raggiungere l’obiettivo.

Per Decreto del Capo del Governo in data 26 marzo 1935 la richiesta del Comune fu accolta. Fu stabilito che lo stemma doveva essere così descritto: «Stemma: Di Rosso, alla banda d’argento caricata delle sigle “S.P.Q.M.„ al Capo del Littorio che è: di rosso (porpora) al Fascio Littorio d’oro circondato da due rami, di quercia e dall’oro, annodati con un nastro dai colori nazionali. Ornamenti esteriori da Città».

Dal 25 luglio 1943, giusta quanto stabilito dall’art. 96 del regolamento per la Consulta Araldica del Regno, il nostro Comune insignito del titolo di Città passò ad utilizzare la corona «turrita formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero». Il citato art. 96 è stato poi riportato integralmente al punto 2.b) dell’art. 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) 28 gennaio 2011.

Sperando di essere riuscito ad appagare la curiosità dei lettori, chiudo con il formulare gli auguri di un 2025 pieno di prosperità e della giusta energia per affrontare le eventuali sfide che si dovessero presentare sul cammino di ognuno.

Cav. Corrado Pisani

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