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Antonio Bufi: eclettico cuciniere molfettese


Antonio Bufi: eclettico cuciniere molfettese MOLFETTA 10/06/2015

“Ai miei ragazzi insegno l’inutilità della scorciatoia. A me loro insegnano la speranza”
(Niko Romito, 10 lezioni di cucina)


Sin da piccolo andava a fare la salsa in campagna con la sua famiglia, poi tornava a casa e il cibo della tradizione era un imperativo. E che dire delle conserve, quale bontà! Siamo con Antonio Bufi, eclettico “cuciniere” molfettese alla guida dell’Osteria Eataly Bari.

Una cucina naturale in cui si avvale della preziosa collaborazione di Lucia Della Guardia. Una cucina di qualità, libera e senza preconcetti, ricca di verdure e aperta alle sperimentazioni (si sta recentemente appassionando alla complessità delle fermentazioni), laddove non mancano incursioni internazionali quando valorizzano il sapore dei prodotti locali. Gli ultimi “esperimenti” hanno come protagonista il cactus Opuntia “a fichi rossi”, varietà faticosamente recuperata da Titti Divìccaro in Salento.






E così, tra insalata di riso rosso integrale germinato con fragole Candonga, topinambur, cavolo rapa e emulsione di arance Tarocco e senape integrale, tutto lo staff propone ogni giorno qualcosa di unico e speciale. Antonio Bufi ama definirsi una sporchia, infiorescenza delle piante delle fave che agisce nell’ombra, buonissima se scoperta e cucinata nel modo più appropriato!

«Mia madre preparava succulenti i piatti tipici, quindi ho avuto un imprinting gastronomico eccellente – racconta Antonio -. Non ci faceva mai guardare la tv ma ci invogliava a preparare il pan di spagna, a pulire le verdure, coinvolgendoci appieno nel mondo culinario».

Una famiglia in cui libri, giornali, musica e teatro hanno sempre convissuto, un ragazzo che non ha mai abbandonato la sua passione per l’arte: dalla scrittura di libri (L’Orata Spudorata. Racconti e ricette per salvare il mondo dal cattivo gusto; L’Orata Innamorata. Racconti e ricette di cucina afrodisiaca; in collaborazione con Marcello Brusegan, La Cucina Veneziana; il saggio Vita di un tonno in scatola. Paranoie esistenziali ai confini della realtà domestica) al teatro, dalla fotografia alla musica (etichetta discografica inclusa!).

E pensare che avrebbe voluto diventare un architetto o studiare arte, fino a quella magica estate in cui galeotto fu un delizioso petto di pollo con i funghi champignon cucinato assieme ai suoi cugini. Aveva solo 10 anni e decise che avrebbe trascorso gran parte della sua vita in cucina.

Quindi la scuola alberghiera Perotti di Bari e poi le prime esperienze lavorative nel ristoranti Borgo Antico e Bufi a Molfetta. «La mia prima stagione è stata in Trentino. Scrivevo a macchina e inviavo il mio curriculum a decine di ristoranti, presi dalle guide Michelin ed Espresso.– prosegue -. Avrei voluto formarmi nella scuola di cucina di Gualtiero Marchesi ma proponevano solo stage non retribuiti… Nessun male viene per nuocere, e così avendo avuto risposte positive dalla Francia, ho avuto l’onore di essere allievo del grande Michel Roux. Poi ho lavorato al Gran Hotel Palace di Roma e in Svizzera».

Ci spiega che negli anni ’80 c’erano solo la cucina classica e la nouvelle cousine e che Francia e Svizzera erano gli unici Paesi (fatta eccezione per il mondo di Gualtiero Marchesi) adatti in cui apprendere le basi e la tecnica in cucina, per esempio imparare a cucinare le salse (prima tra tutte, il fondo bruno) e tagliare le verdure a regola d’arte (a cominciare dal taglio brunoise).Sapienza che oggigiorno «si vende spesso già pronta per l’uso perchè richiede molto tempo e dedizione».

E continua: «In ogni posto in cui ho lavorato ho sempre cercato di portare avanti la mia filosofia; per esempio, ho lavorato nella cucina di una ecohouse belga, un museo costruito con materiale riciclato ecosostenibile, preparando panini con farine sostenibili che provenivano da aziende e contadini locali e che compravo quotidianamente. Lo scopo e il senso etico della mia professione è trasmettere la mia esperienza, perchè oggi le scuole e i programmi televisivi pullulano di sensazionalismo e di aspiranti cuochi senza la minima idea dei sacrifici necessari per fare carriera in questo settore».

Antonio aggiunge che, a distanza di 30 anni, ogni giorno impara qualcosa in più e che senza caparbietà, cultura e capacità di gestione d’impresa e delle risorse umane non è possibile avviare un’attività imprenditoriale di successo nel settore.

Se non si è in grado di utilizzare al 90% una zucchina, dalla polpa alla buccia sino ai semi, si sprecherà cibo e denaro. Tale abilità è frutto dell’esperienza, che genera senso di responsabilità verso le persone con cui lavoriamo, i clienti e le stesse materie prime. Del resto «in cucina bisogna insegnare la sensibilità nei confronti del gusto, per valorizzare al meglio e appieno il cibo».

Italia, Europa, Asia. Adesso Bufi è qui a Bari, nell’Osteria Eataly che vuole essere una “casa aperta a tutti” in cui i consumatori possono colmare quel gap conoscitivo dovuto da un lato all’eccesso di informazione e (paradossalmente) alla presunzione di “sapere”, dall’altro alla mancanza di curiosità.

Domani chissà, forse potremmo incontrarlo a Molfetta, nel ristorante dei suoi sogni…


Scritto da Deborah Baldasarre
fonte: pugliami
 


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