Giulio Giancaspro presenta: Movie Poster << Indietro
Chi meglio di Giulio Giancaspro avrebbe potuto dare un volto all’incipit artistico di un veglioncino per bambini (Talent Show) in un simpatico Teatro di Molfetta (Odeon), da annoverare fra gli eventi di “I Love Molfetta” per la celebrazione della 54^ Edizione del Carnevale Molfettese? Giulio Giancaspro che ha una frequentazione carnascialesca con la sua stessa esistenza, che spia continuamente dalla fessura dell’ironia e del sarcasmo in una cornice metaforica. I soggetti di questa sua tendenza decostruttiva della realtà, alla ricerca di rapporti inverosimili tra cose e parole, giocata sull’effimero, si propone sempre di rivelare qualcosa nell’implicito che sostiene le rigide concettualizzazioni dell’arte, dell’uomo e del mondo. Giancaspro gioca con le immagini fondendole e interpolandole anche con le parole disvelandoci territori nascosti della realtà e quella “difference” derridiana che ci insegna a ricercare, attraverso paradossi e metafore, gli impensabili confini di quel mondo che ogni uomo, colto o incolto che sia, riduce a se stesso, alle sue parole e ai suoi schermi teorici. In questa occasione l’impeto dissacrante dell’artista si fa meno scherzoso ed esplosivo per diventare più pedagogico, percorrendo lo spleen misterioso e intrigante di quegli enormi manifesti che noi ammiravamo pieni di stupore e curiosità all’ingresso di sale cinematografiche, numerose nel passato, e che ci offrivano un assaggio degli inattesi e spiazzanti intrecci che di lì a poco lo schermo ci avrebbe offerto. Non è che il carnevale con le sue caricature, i lazzi e le trasgressioni possibili non miri anch’esso a confrontarsi con le contraddizioni di questa società. Ma le contraddizioni che si affacciano nelle maschere carnascialesche riproducono, enfatizzandoli, i luoghi comuni di critiche popolari sussurrate nelle piazze, nei bar, nei supermercati e che hanno bisogno di una spinta ulteriore per venire alla luce. I poster di Giancaspro non sono semplici virtuosismi digitali, e neppure esaltazioni narcisistiche fini a sè stesse, ovvero ironie che riducono il sorriso alla percezione del divario tra l’artista e l’eroe che egli sostituisce nell’immagine. Qui l’ironia è meno effimera meno d’occasione, più filosofica perchè entra con il volto del nostro artista nelle pieghe invisibili della psicopatologia del mondo contemporaneo che James Hillman ha definito: “Imperialismo dell’Ego”. Infatti tutti i film che Giancaspro interpreta sostituendosi agli attori, sia che provengano dai fumetti (Popeye – Superman) o dalla letteratura ottocentesca di avventura (Ventimila leghe sotto i mari - Sherlock Holmes) o dalla fantascienza (Avatar) o dalla letteratura di avventura (Indiana Jones), non sono altro che il riflesso della tendenza narcisistica del nostro tempo, un tempo in cui l’Io vuole farsi Dio. Infatti tutti i protagonisti delle pellicole rivisitate dal nostro artista sono superuomini: Sherlock Holmes genio della logica e della deduzione, Ned Land e Capitano Nemo, icone archetipiche del coraggio e dello spirito di avventura in Ventimila leghe sotto i mari, Jake Sully e Neytiri protagonisti di storie in cui la divinità si individualizza creando degli Avatar, Indiana Jones e Sean Connery che ne “L’ultima crociata” scrivono l’epopea del bene che annienta il male. E come un Io vuole farsi Dio secondo il codice narcisistico di questo nostro tempo posseduto dalla tecnica e dalla globalizzazione? Attraverso quella volontà di potenza che mira alla conquista della superiorità di un uomo sull’altro, consacra il denaro a ingrediente dello spirito e l’economia a tempio in cui si celebrano i riti del potere, della forza e della tecnica. Qualcuno potrà obiettare: stai drammatizzando quello che a tutti appare come una finzione e che se il cinema come l’arte è artificio, qui della finzione sono consapevoli tutti e criticamente ne godono. Il punto è proprio questo e Giulio Giancaspro affronta l’argomento con una doppia ironia: una ironia verso sè stesso e una ironia verso il mondo. Verso sè stesso perchè attraverso questa interpolazione dei manifesti si rivela a sè medesimo per scoprire i suoi empiti narcisistici inconfessabili. Ma la scoperta non è fine a se stessa perchè avendoli rivelati, ci suggerisce implicitamente di estendere al contesto la dissacrazione da lui introdotta, per farci dimenticare la sensazione di realtà in cui veniamo e venivamo coinvolti anche dalle pellicole cinematografiche e per ricordare tutte le implicazioni della volontà di potenza dell’uomo contemporaneo, un uomo alla ricerca di un Dio che rimane caparbiamente nascosto. Un’opera di decostruzione quella di Giancaspro, alla ricerca dell’implicito che è oscurato dall’esplicito e dalle piacevoli e coinvolgenti immagini che accanto alle seduzioni dei suoni, colori e sequenze avvincenti, ci trasmettono subliminalmente, a nostra insaputa un contenuto invisibile ed inconfessabile. Discorsi seri in un contesto di gioia ed euforia qual è quello del carnevale? Non stonano queste riflessioni con l’effimero che dovrebbe farci lasciare fuori della porta malesseri e preoccupazioni? Non va oltre le intenzioni di questo artista la seriosità drammatica di queste provvisorie e anch’esse superficiali riflessioni? Forse le avremmo omesse se i protagonisti di questo evento non fossero i ragazzi che parteciperanno al veglione e la cui profondità è celata a noi adulti oramai anestetizzati dalle categorie di un mondo senz’anima. E’ il carnevale e lo spirito carnascialesco, edulcorato da canti e balli e da immagini sognanti che inciampa su qualcosa e che per ciò stesso diventa pensiero, memoria, sostanza imperitura e operante nello spirito e nel corpo di questi adolescenti. Vito Caiati critico d'arte |
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